Comprensorio Colere- Lizzola, i no al progetto
Un incontro, quello ospitato martedi 4 marzo al Cine-teatro di Boccaleone a Bergamo, che ha voluto illustrare il progetto, del comprensorio Colere-Lizzola a chi vive in città. “Un’opera che contiene in sé un’insostenibilità sociale, economica e ambientale”, come sostenuto dai comitato dei contrari. Un no con fermezza al traforo nel Pizzo di Petto per collegare Val Conchetta e Val Sedornia, presentato da Rsi, artefice del rinnovo degli impianti scalvini con un investimento di circa 22 milioni di euro. Progetto (che dovrebbe concludersi nel 2026) di cui sono state depositate le bozze di convenzione nei Comuni e si attende ora la Conferenza dei servizi. L’incontro cittadino è stato organizzato dall’Associazione Proletari Escursionisti, in collaborazione con il collettivo Terre Alt(r)e, il gruppo OrobieVive ed il comitato “No comprensorio” Val di Scalve, che ha visto intervenire alcuni esperti, nella convinzione comune che il progetto del collegamento Colere-Lizzola sia insostenibile e ormai fuori tempo. Angelo Borroni, ingegnere di OrobieVive, ha evidenziato come si ignori la necessità di interventi sostenibili, essenziali e reversibili per quanto riguarda l’ambiente ed il paesaggio: “Il progetto è impresentabile perché guarda al passato, prevede di occupare valli integre con piste, strade e strutture (oltre alle opere di protezione) per aggiungere due piste di neanche 3 chilometri, con un investimento di 79 milioni di euro (70 quelli previsti in origine), di cui 51 di soldi pubblici (nonostante le crisi) sottratti ai reali bisogni di chi vive in montagna”. Per Filippo Barbera, sociologo dell’Università di Torino dovrebbero essere prioritari i servizi collettivi per la cittadinanza, e con 70 milioni se ne possono fare molti. Si è poi trattato il tema riguardante i cambiamenti climatici, facendo alcuni riferimenti come ad esempio la stagione 2024-2025 nella quale le precipitazioni nevose sono diminuite, le temperature sono state molto più alte della media. Il periodo di copertura nevosa nelle aree montane, a livello globale, tra il 1982 e il 2020 si è ridotto in media di circa 15 giorni in un anno, insomma per gli organizzatori un progetto impresentabile ed insostenibile.
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