TRAFFICO DI RIFIUTI: 6 MILIONI DI SEQUESTRI

Ricevevano rifiuti da trasformare, ma li cedevano senza aver completato il recupero. Nei guai due imprenditori, sequestrati beni per 6 milioni di euro. L'indagine è della DIA, del gruppo carabinieri forestale e della sezione di polizia giudiziaria della procura di Brescia. In queste ore sono scattate le ordinanze per le misure cautelari – personali – e di sequestro dei beni per i due imprenditori – un 58enne bresciano residente ad Erbusco e un 49enne mantovano residente a Revere. Come deciso dal GIP di Brescia, su richiesta del Sostituto Procuratore della DDA bresciana dott. Mauro Leo Tenaglia i due imprenditori implicati nella vicenda sono stati sottoposti all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, mentre tutti loro beni - immobili, compendi aziendali, quote delle società coinvolte nelle indagini, con sedi legali nelle province di Brescia, Mantova e Cremona, per un valore complessivo stimato in circa 6 milioni di euro – sono stati preventivamente e cautelarmente sequestrati. L'indagine aveva preso il via nel 2016 dopo l'operazione Similargilla che aveva portato a scoprire che il materiale utilizzato per preparare il fondo della cava Inferno di Ghedi era contaminato da idrocarburi pesanti. Questa scoperta aveva dato il la ad indagini sull'impianto in provincia di Mantova che lavorarava i rifiuti non pericolosi con l'aggiunta di argilla naturale per il loro riutilizzo. Gli accertamenti hanno portato a scoprire un traffico di ingenti quantitativi di rifiuti – si tratta appunto di fanghi da trattare e trasformare – che attraverso la compilazione di documentazione falsa, venivano smaltiti in modo illecito facendo figurare una falsa economia circolare, un falso end of waste. Insomma i rifiuti – che avrebbero dovuto trasfomarsi attraverso la lavorazione in materiale da riciclare per vari scopi - restavano tali. La ditta di Mantova – regolarmente autorizzata a trasformare i fanghi mescolandoli con argilla naturale – infatti, non solo non svolgeva questo processo, ma addirittura utilizzava argilla prodotta da ulteriori recuperi. Questo prodotto – non lavorato regolarmente – veniva quindi venduto a cifre irrisorie ad una ditta pagata dallo stesso venditore. Insomma una truffa bell'è buona, ma poiché il materiale prodotto – stiamo parlando di 150 mila tonnellate all'anno – non aveva ovviamente mercato, doveva essere smaltito. Nello specifico, i rifiuti transitavano in un impianto ubicato in provincia di Mantova – quello regolarmente autorizzato al trattamento che non effettuava - e poi venivano illecitamente smaltiti in siti ubicati nelle province di Brescia, Verona e Cremona. Il modus operandi messo in atto risponde ad un cliché ben collaudato: una impresa si offre sul mercato per fare attività di recupero di rifiuti, che riceve da molteplici conferitori. Invece di trasformarli in un “non rifiuto” ( o End of Waste, o “cessato da rifiuto”), li cede senza aver completato il recupero godendo di un ingiusto risparmio di costi a scapito dei principi di tutela e salvaguardia dell’ambiente.

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