LA SOLITA STORIA DELLA SP 345
Letteralmente fiumi d'inchiostro e chilometri di carta sono stati spesi per la strada del Passo Crocedomini nel tratto Breno-Bagolino che, nonostante le condizioni perfette, rimane pervicacemente chiusa. Qualcuno si accontenta di qualche noce rinsecchita, della serie “tanto per quello che mi interessa riesco a passare”, qualcuno ancora pensa a scorciatoie da strizzatine d'occhio della serie “le mie malghe riesco a farle aprire”: ma nessuno si sta concretamente adoperando per riaprire la più importante arteria interna del territorio montano bresciano, che collega tre valli, tre laghi, tre diverse province, tra stati e che, a giorni con le vacanze scolastiche nei paesi di lingua tedesca per la festa dell'Ascensione, potrebbe vedere, come da statistica, migliaia e migliaia di turisti d'oltralpe transitare per uno dei passi più noti e amati in Europa, promozionati dai mezzi stampa di settore delle due ruote e non solo. Sollecitato da più parti e informato della situazione, il parlamentare camuno della Lega Beppe Donina ha scritto al Presidente della Provincia di Brescia, al settore strade e trasporti della stessa amministrazione, quindi al Prefetto Maria Rosaria Laganà, al Ministro per il Turismo Massimo Garavaglia ed al Ministro delle infrastrutture e mobilità sostenibile Enrico Giovannini sottoponendo l'anomala situazione della viabilità della strada del Crocedomini. Il perdurare della chiusura, afferma il parlamentare camuno, sta creando da troppo tempo danni economici ingenti e un pessimo ritorno di immagine per la Valcamonica tutta. E continua citando i gestori dei rifugi che lamentano totale mancanza di risposte e di attenzione da parte delle Istituzioni competenti rispetto ad una difficoltà che diventa sempre meno gestibile. L'onorevole Donina conclude la sua nota chiedendo ai soggetti ai quali la lettera è indirizzata di intervenire quanto prima per consentire il ripristino della viabilità. La lettera non dice la frase che tutti gli operatori del settore, da Breno a Bagolino a Collio, ripetono con stanchezza: “siamo alle solite”. Sei anni fa lo sventagliare del pericolo delle valanghe, fino a giugno inoltrato; cinque anni fa frane di piccole dimensioni, risolvibili con l'intervento da parte di squadre di manutenzione; quattro anni fa la tempesta Vaia: tutti promisero la riapertura della strada al massimo per metà maggio 2019, ma ci si ricorda bene che venne riaperta la mattina del 14 agosto alle 11.30, dopo che ormai oltre metà della stagione era andata in fumo; quindi due anni di lockdown a più riprese ed ora, dopo un inverno sena neve e la strada in ottime condizioni, un silenzio colpevole che fa salire la rabbia perché non ci sono risposte all'orizzonte. La stagione turistica in quello che è uno dei passi alpini più lunghi e in alta quota di tutta Europa dura 100 giorni. Sprecarne anche uno solo è un crimine contro chi vive operando con tenacia e coraggio per dare dignità all'economia stentata delle quote alte, di cui ci si riempie la bocca in convegni inutili e fatui, con i pessimi risultati pratici che, ancora una volta, ci si trova a dover denunciare.
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