PRANDINI: SERVE UNA VISIONE EUROPEA
Per affrontare le emergenze sanitarie, ma non solo – ribadisce il presidente naz di Coldiretti Ettore Prandini - serve una visione comune a livello europeo: i singoli Stati Membri dell’Unione dovrebbero affidarsi a studi e misure, soprattutto quando si parla di sicurezza alimentare, non svolti all’interno dei singoli Stati, ma super partes, che sappiamo dettare delle linee comuni disinteressate, slegate quindi dalle lobby capaci di influenzare e condizionare le politiche comunitarie. Ancora manca una visione comune ad esempio sulle informazioni da riportare sulle etichette dei prodotti. Il metodo a semaforo e nutriscore rischia di essere fuorviante ed incompleto di promuovere con il bollino verde cibi con edulcor o artificiali e di penalizzare con bollini rossi cibi tradizionali e sani come l’olio d’oliva italiano e rischia di destabilizzare il consumatore e il mercato. In etichetta manca ancora inoltre l’indicazione dell’origine dei prodotti, che renda ben chiaro al consumatore quali cibi, che trovano spazio sugli scaffali dei supermercati accanto a quelli made in Italy e con prezzo spesso inferiori, sono prodotti però all’estero, fuori anche dall’Unione, e provengono da Paesi dove vigono norme diverse in tema di pesticidi, antibiotici, tecniche di produzione e sicurezza sul lavoro. Grazie anche alle battaglie della Coldiretti, il ruolo che gli agricoltori possono svolgere nella crescita economica dell’intero continente europeo è stato riconosciuto dalla stessa Presidente della Commissione Europa Ursula von der Leyen nel discorso inaugurale del secondo mandato, ma alle parole devono seguire i fatti. Anche sulla Politica Agricola Comunitaria manca lungimiranza, secondo il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: la PAC oggi in Europa vale 386 miliardi fino al 2027, di cui 35 miliardi in Italia, ma USA e Cina investono in agricoltura molto di più. L’agricoltura non sfama solo la gente, non crea solo lavoro, non salvaguardia solo il territorio, non muove solo il turismo e l’intera filiera, ma ha anche la responsabilità di creare cibi sani in modo sicuro. Sugli interessi economici, che oggi spingono ad esempio alcuni Stati e aziende ad investire nello sviluppo della carne coltivata in laboratorio e in generale del cosiddetto cibo sintetico, deve prevalere la tutela della salute. La capacità di capire i possibili sviluppi di una situazione e quindi di prevenirne le conseguenze, e la capacità di ragionare come Italia e non per singole regioni, manca anche alla politica italiana, troppo abituata a ragionare sulle emergenze piuttosto che a prevenirle attraverso ad esempio le infrastrutture, che sono il volano dell’economia. La produzione di cibo sintetico è motivata tra le altre ragioni, dalla volontà di ridurre l’impatto ambientale prodotto dall’agricoltura, accusata di essere uno dei settori con le maggiori emissioni di gas serra, una fake news smentita dagli esperti: come più volte ribadito dalla Coldiretti agricoltura e silvicoltura contribuiscono alla lotta ai cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle proprie emissioni, l’efficientamento dei sistemi produttivi e dell’impiego delle risorse naturali, lo sviluppo delle energie rinnovabili, l’assorbimento di CO2 attraverso lo stoccaggio di carbonio nel suolo e nella vegetazione e mediante tecniche appropriate di coltivazione. E possono svolgere un ruolo ancora più importante grazie alle nuove tecnologie.
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