LAVORO NERO A GANDINO
Blitz dei carabinieri di Gandino entrati in azione insieme all’Ispettorato del lavoro di Bergamo in una ditta di tessuti di Gandino. Al suo interno alcuni richiedenti asilo, che da qualche mese venivano sfruttati come manodopera clandestina dalla titolare una cinese di 43 anni residente in provincia di Cuneo. Tutto è partito da una segnalazione giunta ai militari: nel capannone infatti si vedevano entrare gli africani verso le 9.30-10 e uscire solo alla sera. Inoltre i residenti avevano visto entrare e uscire dei cinesi su furgoncini carichi di tessuti. I carabinieri hanno quindi deciso di vederci chiaro. Dopo aver accertato che i due furgoni parcheggiati fuori dal capannone erano intestati alla ditta della cinese, regolarmente e in attività da tempo in valle, che risulta avere dipendenti, ma non africani i carabinieri decidevano di intervenire una prima volta nella giornata di lunedi, trovando alcuni cinesi e due migranti senegalesi, una donna di 30 anni e un uomo di 29, che lavoravano per la 43enne senza alcun contratto. Interrogati, dichiaravano di percepire 2 euro ogni 100 lenzuoli piegati e di lavorare in media 8-10 ore al giorno. Tutto per una paga mensile, ovviamente in nero, di circa 200 euro. «Un modo per arrotondare, per fare qualcosa visto che non abbiamo lavoro, e per mandare soldi ai nostri familiari in Africa» hanno spiegato i senegalesi. La cinese è stata multata di 15 mila euro con divieto di effettuare altre attività lavorative fino al pagamento della sanzione. Multa che la donna ha pagato lo stesso giorno, ma martedi mattina i carabinieri sono ritornati e hanno trovato la cinese con un altro senegalese di 29 anni. Cosa che le è costata altri 5 mila euro di multa, che pagherà sicuramente perché la cosa che le interessava maggiormente era poter proseguire il lavoro. Secondo quanto accertato dai carabinieri, la donna avrebbe fatto caricare le lenzuola sui furgoni dai dipendenti cinesi, che facevano la spola tra la sua ditta e il capannone, che si trova a pochi chilometri di distanza. Una volta terminata la lavorazione «clandestina» nel capannone di Gandino, le riportavano in azienda per essere poi distribuite.
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