CASO YARA: NO ALL’ACCESSO AGLI ATTI

Rigettata l’istanza volta all’ottenimento all’accesso ai corpi di reato e la loro ricognizione, presentata dagli avvocati Paolo Camporini e Claudio Salvagni, difensori di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. I legali avevano richiesto la revisione del processo e l’analisi di 98 reperti, di cui 54 campioni del dna estratti dagli indumenti della ragazzina su cui venne ritrovata la traccia genetica inizialmente attribuita a ignoto 1. Dopo il diniego all’accesso ai reperti, gli avvocati rischiano ora di essere accusati di calunnia. I giudici della Corte d’assise di Bergamo, rigettando le richieste degli stessi, hanno disposto, come chiesto in aula dal procuratore capo Antonio Chiappani e Letizia Ruggeri lo scorso 19 maggio, la trasmissione degli atti alla Procura di Venezia per le “opportune valutazioni”. Chiappani aveva denunciato presunte scorrettezze dei due difensori, dopo che nei mesi scorsi avevano presentato un esposto contro i magistrati bergamaschi in cui parlavano di illeciti sulla gestione dei reperti del caso Yara, accusandoli di depistaggio e frode processuale. Spetterà ora ai pm veneziani, competenti a indagare sull’operato dei colleghi orobici, valutare eventuali ipotesi di reato ai loro danni. La decisione del no ai reperti da parte della Corte d’Assise presieduta dal giudice Donatella Nava è arrivata giovedì pomeriggio, dopo due pareri favorevoli pronunciati dalla Cassazione nelle settimane scorse. La richiesta di trasmissione atti, ha commentato l’avvocato Salvagni, è “l’ennesimo tentativo, molto grave, di imbavagliare, di zittire la difesa”.

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