I LAVORATORI DEI SITI ARCHEOLOGICI ALZANO LA VOCE

Lo stato di agitazione dei lavoratori dei parchi e dei musei archeologici della Valle Camonica continua. Proclamato all'indomani della decisione della direzione regionale musei di chiudere il Parco di Naquane il pomeriggio, riducendo ulteriormente il monte ore dei precari con stipendi da fame, oggi ha visto una nuova azione. I lavoratori esterni hanno appeso uno striscione all'ingresso del parco, corredato da un comunicato. Questo perché sembrava che la Direzione Musei concedesse loro un incontro ed invece tutto tace. E' chiaro che lo stato di agitazione, se i lavoratori non avranno risposte, potrebbe sfociare a breve in uno sciopero. Intanto sul comunicato diffuso in queste ore e recapitato anche presso la nostra redazione, si legge la richiesta dei lavoratori esterni – assunti da coopetive per svolgere lo stesso lavoro dei dipendenti del Ministero ma con paghe orarie poco sopra i 6 euro lordi l'ora: siti aperti e stipendi dignitosi per tutti. Nel volantino spiegano ancora una volta la loro situazione e ancora una volta sottolineano che da anni lavorano a supporto del personale interno, sempre più carante, ma sono assunti da ditte o cooperative che vincono appalti indetti dalla stessa Direzione. Da anni dunque lavorano in modo precario nei tre siti nazionali della Valle Camonica – Naquane, Mupre e Museo di Cividate Camuno – ma sono assunti con contratti inadeguati – suggeriti (dicono) dalla stessa direzione regionale. Percepiscono 6 euro e 25 centesimi lordi all'ora. E dopo questa ennesima chiusura senza preavviso comporta loro la perdita di centinaia di ore di lavoro. Hanno chiesto un confronto con la direzione ma tutto tace. Nonostante tutto continuano a rendere possibile, al pari del personale interno che gode di ben altre condizioni economiche e stabilità lavorativa. Il parco archeologico di Naquane è un bene di tutti e quindi – dicono i lavoratori – merita di essere aperto e visitabile, un patrimonio così straordinario – concludono – dovrebbe essere promotore di benessere sociale e non causa di precariato e sfruttamento.

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