SIMULATO L'INCENDIO IN OSPEDALE
Gli inquirenti hanno riprodotto il più fedelmente possibile l’incendio che due settimane fa ha distrutto la stanza del reparto di psichiatria, dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII° di Bergamo, dov’era ricoverata Elena Casetto, paziente 19enne , morta a causa delle ustioni e delle esalazioni di monossido di carbonio. L’esperimento, voluto dall’ingegner Paolo Panzeri, consulente nominato dalla Procura, si è svolto alla presenza degli agenti della squadra mobile della Questura, dei Vigili del fuoco di Bergamo e del Nucleo investigativo regionale, oltre a un consulente di parte della famiglia della vittima. Un esperimento controllato, condotto in piena sicurezza all’interno del reparto ancora sotto sequestro. Il tutto si è svolto in una stanza “gemella”, ed è servito a capire i tempi e le modalità di propagazione delle fiamme costate la vita alla giovane di Osio Sopra. Quel giorno la porta della camera era chiusa, le finestre ovviamente sigillate. Assenti gli spruzzatori, disattivati nel reparto di psichiatria per evitare ogni tipo di manomissione da parte dei pazienti, che avrebbero potuto anche staccarli e utilizzarli come strumenti taglienti. La Procura, per ora, si limita a far sapere due cose. Primo: che durante il test l’allarme antincendio dell’ospedale ha funzionato regolarmente, scattato non appena il fumo ha iniziato a circolare. Secondo: che i materiali sottoposti a combustione presenti all’interno della stanza risultano a norma, in grado di rallentare le fiamme come richiesto nei contratti di fornitura. Per quale ragione allora il 13 agosto l’innesco del rogo si sarebbe sviluppato tanto facilmente, e le fiamme propagate così rapidamente? C’è qualcosa nella ricostruzione dei fatti che sino ad ora è sfuggito? Qualche “buco nero” nella cronologia degli eventi?
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