RIAPERTO IL CASO GHIRARDINI
Il Giudice per le indagini preliminari, Elena Stefana, ha detto no alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura generale dell'inchiesta sulla morte di Giuseppe Ghirardini, l'operaio della fonderia Bozzoli di Marcheno dove il titolare, Mario Bozzoli, era scomparso dalle 19.15 del 8 ottobre 2015. Quel giorno nella fabbrica di Marcheno c’era anche l’operaio Giuseppe Ghirardini che era destinato a essere l’altro indagato prima di essere trovato ucciso domenica 12 ottobre attorno alle 13.00 sotto un abete alle Case di Viso, in alta Vallecamonica. Nel suo stomaco l'autopsia aveva evidenziato una capsula al cianuro: dunque, anche per il suo caso la Procura generale aveva aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio che, passati mesi senza risultanze, era destinata ad essere archiviata. Archiviazione che, secondo il Gip Stefana, non può essere accolta perché le indagini appaiono incomplete, come ha scritto nella sua ordinanza. Per la morte di Giacomo Ghirardini, ucciso dal cianuro, sono indagati Alex e Giacomo Bozzoli, nipoti dell'imprenditore scomparso, che devono rispondere di istigazione al suicidio. Nel suo provvedimento il giudice ha dato sei mesi di tempo alla Procura generale per interrogare i dipendenti ed i collaboratori della fallita società Bozzoli srl, per sapere se ricordino l'assenza di Adelio Alex e Giacomo Bozzoli, rispettivamente fratello e nipoti di Mario, dai locali aziendali per un lasso di tempo significativo nei giorni 14 e 15 ottobre 2015 e se rammentino commenti pertinenti alla mancata presentazione al lavoro di Ghirardini o qualche notizia significativa dopo la sua morte. Gli inquirenti dovranno anche riascoltare le due persone che indicarono dove era stata parcheggiata l'auto dell'operaio a Case di Viso e anche il testimone che, a distanza di tempo dai fatti, disse di aver incrociato in auto proprio vicino al luogo di ritrovamento del cadavere di Ghirardini, una vettura sulla quale aveva affermato che viaggiavano Adelio Bozzoli con il figlio. Il GIP Elena Stefana ritiene che fino al mattino del 14 ottobre 2015 Ghirardini non aveva dato segno di volersi uccidere, non esternava in alcun modo uno stato di disperazione o di perdita di controllo, nonostante il dispiacere per la scomparsa del datore di lavoro. Quindi - si legge in ordinanza - il suicidio pare il frutto di un repentino mutamento psicologico ed è quindi verosimile che vi siano stati degli sviluppi drammatici e repentini del grave e improvviso evento occorso nella fabbrica Bozzoli, a ridosso e in concomitanza dell'ultimo viaggio di Ghirardini, atti a provocargli uno sconvolgimento interiore così grave e insuperabile, da gettarlo nello sconforto e a indurlo - o a costringerlo - a un gesto estremo». Ora, come accaduto nella mancata archiviazione del caso su ordine dell'allora procuratore generale Dell'Osso, ci sarà altro tempo per l'attività istruttoria al termine della quale verrà richiesta al pm la formulazione dell'imputazione.
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