OMICIDIO COLLEONI. CONDANNATO IL FIGLIO

21 anni di condanna. E’ questa la sentenza emessa oggi dalla Corte d'Assise nei confronti di Francesco Colleoni, unico imputato e figlio di Franco Colleoni, il 68enne storico militante e politico della Lega,  titolare del ristorante Il Carroccio, nella frazione Brembo di Dalmine, ucciso lo scorso 2 gennaio 2021. Il pm Emanuele Marchisio aveva chiesto 22 anni e 6 mesi, optando per una via di mezzo tra il minimo di 22 e il massimo di 24 per il reato in oggetto, chiedendo alla Corte di considerare le aggravanti alle attenuanti generiche. La difesa, con l'avvocato Enrico Cortesi aveva invece chiesto l'assoluzione, e la riqualificazione in omicidio preterintenzionale con il riconoscimento dell’attenuante della provocazione. Per Cortesi, ci si trova infatti di fronte a un processo indiziario. Secondo l’avvocato, vista la sola minuscola traccia di sangue sul retro della felpa, è altamente improbabile che Francesco sia il responsabile dell’omicidio, vista l’assenza di grandi quantità di sangue sui vestiti dell’imputato. Il difensore ha anche fatto notare come nel lavandino e sull’asciugamano siano state rinvenute solo tracce del DNA di Francesco e nessuna del padre. Il 35enne è infatti accusato di aver ucciso il padre nel corso di una violenta lite nel cortile del locale, fracassandogli la testa su alcune rocce. Francesco però ha sempre sostenuto di non ricordare di aver aggredito il padre, rammentando solo lo scontro verbale avvenuto quella mattina, dal quale era scaturita una leggera colluttazione, terminata con il rientro del 35enne nel suo appartamento. La madre era poi rincasata e scesa insieme al figlio nel cortile, dopo che dei passanti le avevano detto di aver sentito poco prima degli strani tonfi, trovando il corpo esanime del marito. A destare fin da subito i sospetti degli inquirenti verso Francesco, l’allarme lanciato dal 35enne al 112, in cui aveva parlato di una rapina in casa finita male. Una versione dei fatti che non ha mai convinto sotto diversi aspetti gli investigatori. L'accusa ha sempre sostenuto che, al momento dell'omicidio, Francesco fosse l'unica altra persona presente nella cascina. Inoltre, le incongruenze nella sua testimonianza e le intercettazioni in caserma lasciavano pochi dubbi sulla sua colpevolezza.

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