TUTTI I PARTICOLARI DELLA MORTE DI RAMA
Una serie serrata di indagini dei Carabinieri di Chiari e del Nucleo Operativo di Brescia ha portato la Procura della Repubblica di Brescia a concludere una prima fase di indagini sulla morte di Nexhat Rama, il 40enne kosvaro che, secondo l'accusa, sarebbe stato ucciso da Davide Cristiano Mossali, meccanico 53enne di Palazzolo, che avrebbe poi trasportato il corpo nelle campagne di Cologne nel bagagliaio della Range Rover dando alle fiamme l'auto con dentro il corpo. Il condizionale è d'obbligo, ma Procura e inquirenti non hanno più dubbi e lo dicono nei verbali nei quali sono trascritti date, circostanze precise, rilevazioni e intercettazioni: alle 8.35 di lunedì 29 agosto Rama avrebbe telefonato a Mossali invitandolo a prendere un caffè in un bar di Palazzolo. L'incontro è stato ripreso da una telecamera installata vicino al locale; quindi i due si sarebbero dati appuntamento per le 11.00 all'interno dell'officina di Mossali a San Pancrazio: l'appuntamento sarebbe confermato dal messaggio che Rama alle 10.13 aveva inviato al fratello e in cui gli spiegava di dover raggiungere il 53enne per riavere i 38 mila euro che gli aveva prestato. Intanto Mossali avrebbe contattato la moglie dicendole di prendere i cani e di lasciare l'officina chiedendole di coprirlo qualora i Carabinieri l'avessero contattata. Rama alle 11.00 ha raggiunto l'officina di Mossali che, prima di riceverlo, sarebbe salito in casa intimando al figlio 20enne di non uscire. Una volta tornato in officina, Mossali e Rama avrebbero iniziato a discutere e il 53enne a quel punto gli avrebbe sparato alla nuca uccidendolo. Alle 12.10 Mossali sarebbe tornato in casa dal figlio dicendogli di restare lì altri 15 minuti e di passare a prenderlo (salvo poi cambiare idea) a distanza di 40 minuti nei pressi di un distributore di benzina vicino alla tangenziale. Nel frattempo, il meccanico avrebbe caricato il cadavere del kosovaro nel bagagliaio della Range Rover con cui la vittima aveva raggiunto l'officina di San Pancrazio. Alle 12.16 Mossali avrebbe contattato la moglie dicendole che sarebbe uscito dall'officina e che lei poteva tornare a casa. Pochi minuti dopo la telecamera di una abitazione privata ha inquadrato il suv del kosovaro guidato da un uomo con barba e capelli raccolti, che non poteva essere Rama in quanto rasato a zero. Alle 12.40 le immagini della stessa telecamera hanno registrato il fumo che, a pochi chilometri di distanza, saliva dal suv dato alle fiamme nelle campagne di Cologne. A quel punto Mossali sarebbe tornato a piedi verso casa: circostanza suffragata dal fatto che sulle suole dei suoi scarponcini i carabinieri hanno trovato tracce di terra. Alle 13.30, avrebbe detto al figlio di cancellare le registrazioni fatte quel giorno dalle telecamere installate dentro e fuori l'officina. Attorno alle 14.00 il meccanico avrebbe nuovamente lasciato l'officina dopo aver detto alla moglie di dover provare un furgone; al suo ritorno i due dipendenti che quella mattina erano rimasti a casa così come aveva chiesto loro la sera prima lo stesso Mossali, avevano sentito un forte odore di ammoniaca e avrebbero riferito agli inquirenti che il loro datore di lavoro era molto agitato. Il 53enne sarebbe nuovamente uscito con il furgone, per questioni di lavoro, tornando intorno alle 17.30 quando aveva rivisto il figlio a cui in confidenza aveva detto che Rama era morto. Testimonianze orali e messe a verbale dei due dipendenti, della moglie e del figlio, immagini delle telecamere, telefonate registrare e intercettate, riscontri ambientali e prove documentate sembrano incontrovertibili. Quindi la vicenda è destinata ad approdare in tribunale, mentre Mossali rimane in carcere su disposizione del gip Matteo Grimaldi, che lo ha interrogato questo lunedì 5 settembre.
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