DELITTO DI CURNO, DOLORE E RABBIA
Deborha, la sorella di Marisa Sartori uccisa sabato a coltellate dal marito Ezzeddine Arjoun, non è più in pericolo di vita. Il suo è un ritorno alla vita difficile, doloroso, di una sofferenza che non si riesce a descrivere. L’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, ha attivato per lei un supporto psicologico. Uno strumento importante per la giovane, che ha appena riaperto gli occhi sul mondo, dopo averli chiusi, svenuta, sulle immagini della sorella, che da mesi stava provando a difendere dalle angherie del marito, colpita a morte, in una pozza di sangue, dopo l’agguato che l'uomo aveva teso a tutte e due, nel garage di casa a Curno. Martedi, i militari dell’Arma di Bergamo,si sono recati nel reparto dove Deborha è stata trasferita dalla Terapia intensiva e che è accuratamente protetto da una cortina di segretezza, per permettere alla giovane di ritrovare la forza di andare avanti. Quello che temeva Deborha, purtroppo è accaduto. Un incubo che diventa realtà,ora pare pianga disperata. L’autopsia sul corpo di Marisa è in programma per giovedì. Cinque i fendenti sferrati dal marito, di cui quello fatale dritto al cuore, stando ai primi riscontri del medico legale. Gli ultimi mesi sono stati una vita d’inferno per Marisa Sartori: “Non aveva più una vita, racconta il padre della giovane. Lui l’aveva minacciata di buttarle dell’acido sulla faccia e lei viveva chiusa in casa. Usciva solo per andare al lavoro ma non stava mai sola: la mattina passava a prenderla la parrucchiera da cui lavorava, la sera andava Deborha e la riportava a casa. Ma poi la domenica o il lunedì, quando non lavorava, stava chiusa qui, aveva troppa paura”. Paura che si estendeva anche al resto della famiglia: “Ma vi rendete conto che una sera tardi quello là è arrivato qui sotto e ha preso a calci la vetrata all’ingresso del condominio? Il palazzo rimbombava tutto. Abbiamo chiamato i carabinieri e l’hanno allontanato. Dopo mezz’ora è tornato e ha ricominciato, e stavolta è riuscito a sfondare il vetro. Ma non so quante volte in questi mesi abbiamo chiamato i carabinieri, io, mia moglie, le mie figlie, ma senza mai risolvere niente”.
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