RSA, PERCHE' NON ACCADA PIU'
E' vero, quando l'allarme Coronavirus è scattato in Lombardia, nessuno sapeva a cosa si andava incontro, come muoversi, come agire. Ognuno ha adottato le strategie di difesa che poteva, con le armi che aveva, con le conoscenze che aveva, sulle indicazioni che riceveva, ma l'attacco è arrivato a sorpresa e ha colto tutti, politici, ospedali, cittadini, impreparati e senza armi. Difendersi dal Coronavirus è stata una lotta contro il tempo per contenere i contagi, riorganizzare gli ospedali, cercare i dispositivi di protezione. E' vero, se l'emergenza Coronavirus disgraziatamente dovesse tornare in futuro, saremmo più pronti e agiremmo meglio. E' importante quindi trovare le risposte ad alcune domande, per capire cosa è andato storto, cosa si poteva fare meglio, ovviamente con il senno di poi è facile dirlo, e per capire quali errori in futuro andranno evitati perché quello che è successo, ad esempio nelle Rsa, che sono gestite per il 60% dal terzo settore, non accada mai più. Non è facile raccogliere i dati degli anziani morti nel mese di marzo nelle Rsa della Valle Camonica, ma ci abbiamo provato raccogliendo alcune testimonianza di chi nelle Rsa ci lavora oppure di chi ha visto i propri cari andarsene in silenzio. Non faremo nomi di strutture, perché non serve oggi e perché c'è la consapevolezza che tutte le Rsa hanno cercato di fare del loro meglio, ma solleveremo alcune domande utili per capire quale grado di preparazione strutture che accudiscono la parte più fragile della popolazione hanno, o meglio, potranno avere in futuro, per difendere i loro ospiti da virus invisibili che possono entrare accompagnati dai parenti in visita, dal personale privo di mascherine e che possono diffondersi nei luoghi comuni e nelle camere dove ci sono più letti e dove è difficile trovare isolamento. In una Rsa della Valle Camonica, sono morti a marzo circa 30 anziani, in altre la media è di dieci o quindici e per dovere di cronaca, dobbiamo dire che ci sono Rsa in cui i decessi sono stati solo due o tre, in linea come gli altri anni, ma sono poche. Il grido d'allarme delle RSA bergamasche parla di 600 morti in 20 giorni. Molte Rsa hanno avuto un numero di decessi non paragonabile a quello registrato l'anno prima e basta fare il confronto per capire che si tratta di morti legate al Coronavirus anche se non vengono conteggiate fra i dati ufficiali perché agli anziani che si sono ammalati nelle Rsa, il tampone non è stato fatto. Perché il Coronavirus associato all'età avanzata e alle patologie pregresse, li ha portati via troppo in fretta. Eppure le Rsa sono in contatto con le ATS, da cui non dipendono ma che hanno solo il ruolo di controllare, per segnalare i casi che però non vengono ricoverati in ospedali già in affanno e nelle terapie intensive già sature e sono stati curati in Rsa con antibiotici e antireumatici. Alcune Rsa, in assenza di tamponi, fanno fare le analisi del sangue ai malati per avere elementi in più per confermare il sospetto Coronavirus. Per quanto riguarda la diffusione del virus, due potrebbero essere stati i fattori di accelerazione: il fatto che all'inizio si è solo limitato l'ingresso dei parenti ad una persona per anziano, anziché bloccare del tutto le visite, tra l'altro con protocolli che in alcuni casi, cambiavano ogni 24 ore, prima i parenti dovevano avere solo la mascherina, poi anche l'autocerficazione in cui dichiaravano di non essere entrati a contatti con persone positive e di non avere i sintomi, e il fatto che il personale in alcune Rsa, all'inizio dell'emergenza, ha adottato in alcuni casi mascherine persino di carta e in altri casi mascherine chirurgiche di fronte agli anziani con sintomi sospetti portati in aree isolate ma non utilizzava le mascherine con gli altri pazienti sani, e oggi sappiamo che le mascherine chirurgiche servono a non contagiare e non a non farsi contagiare. Il personale inoltre, al quale viene rilevata su indicazione della Regione la temperatura all'ingresso, non è stato sottoposto da subito a tamponi a tappeto, ma solo in caso di insorgenza dei sintomi ed è stato il primo veicolo del contagio. A questo si aggiunge il fatto che una Rsa che conta molti dipendenti malati fatica ancora di più a mantenere alto il livello di tutela. In sostanza, quello che ha messo in crisi le Rsa, una crisi che non dipende dalla richiesta che la Regione ha fatto di ospitare pazienti positivi, visto che nessuna RSA in Valle Camonica ha dato la disponibilità in tal senso, sono stati vari fattori: la difficoltà di trovare, per i pazienti con sintomi sospetti, spazi separati dai pazienti sani; la difficoltà a fare ricoverare gli anziani malati e ad organizzarsi per curarli in Rsa; la difficoltà a reperire materiale di protezione individuale per il personale e l'assenza, al di là degli avvisi e delle segnalazioni inviate dalla Regione e delle Ats, di un protocollo d'azione comune da adottare in caso di emergenza, uguale per tutte le Rsa. Ognuna infatti, sulla base delle testimonianza raccolte, ha fatto da sé.
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