DELITTO DI FARA, PENTITO L’OMICIDA

“Vedevo tutto nero, ora so che c'erano mille strade da percorrere anche da separati. Ho paura a incontrare i miei figli”. Queste le dichiarazioni spontanee fatte in aula davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo, da Carlo Fumagalli, l’operaio di Fara Gera d’Adda, imputato per avere ucciso, annegandola nelle acque dell’Adda, la compagna Romina Vento, madre dei suoi figli. “Come posso aver fatto una cosa simile verso la persona che mi manca di più?”, si interroga nel silenzio dell’udienza.  Fumagalli non si riconosce in ciò che ha fatto e in carcere, sta seguendo tutte le attività che gli vengono proposte, oltre alla terapia psicologica, si sente a disagio quando c’è un’insegnante donna. Continua in aula il racconto disperato dell’imputato: “Otto notti su dieci sogno Romina. Mi dicono che mi abituerò, ma io ci penso sempre. Fossi stato più attento alle sue esigenze, non l’avrei persa. C’erano tante strade da affrontare serenamente anche da separati. Anche in sezione non parlo con nessuno di mia iniziativa. Passo le giornate in branda o davanti alla televisione. Non vivo più”. Ricorda la sera del 19 aprile come “caotica”. Si prende le colpe su tutto: “Non sono stato attendo ai bisogni di Romina. Negli ultimi anni ho dato tutto per scontato: il lavoro, i figli. Prima si usciva al ristorante, si andava alla spa. Ultimamente non mi ero mai fermato a dirle sei stanca, non cucinare che ti porto a mangiare una pizza. È un peso che ho”.

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