SCONTRO IN AULA SULLA MORTE DI ELENA CASETTO

Dopo le rispettive deposizioni, il giudice Laura Garufi ha invitato i medici legali Matteo Marchesi e Arnaldo Migliorini a sedersi al banco dei testimoni, fianco a fianco, per un confronto là dove le loro conclusioni non collimano. Il disaccordo riguarda un punto centrale nel processo a carico dei due addetti alla squadra antincendio, accusati di avere soccorso in ritardo Elena Casetto, che il 13 agosto 2019 morì nell’incendio appiccato dalla giovane paziente del reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. La giovane era stata ricoverata da poco proprio in seguito a un tentativo di suicidio. Il tragico nodo da sciogliere per i due consulenti è: in quanto tempo il cuore di Elena abbia cessato di battere? Marchesi, secondo il pm Letizia Ruggeri, sostiene che «il decesso fu abbastanza rapido, nell’arco di pochi minuti». Per Migliorini, che parla per la difesa, deve essere stato invece «estremamente rapido, ritengo qualche decina di secondi, non certo minuti». Se non fosse stato così veloce, osserva Migliorini, nel sangue la percentuale di carbossiemoglobina sarebbe stata superiore a quella «molto modesta» riscontrata nella ragazza, pari al 16%, segno di un principio di intossicazione che non ha influito sulle cause della morte. Segno, anche — ed è una conferma su cui tutti concordano — che Elena era viva quando materasso e lenzuolo iniziarono a bruciare. Lo dimostra pure la fuliggine trovata fra trachea e bronchi. Secondo Migliorini le fiamme, appiccate con l’accendino, hanno scatenato una potente ondata di calore che attraverso «una reazione di tipo neurovegetativo» bloccò in pochissimo tempo il sistema respiratorio e il cuore della paziente, in stato di contenzione. La domanda è: gli imputati potevano salvare Elena? Secondo Migliorini parrebbe di no, al contrario per Marchesi, il decesso fu di certo rapido ma non istantaneo.

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