ELENA CASETTO MORÌ IN POCHI SECONDI

Elena Casetto aveva tentato il suicidio, per queste ragioni si trovava ricoverata nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII° di Bergamo, dove il 13 agosto del 2019, con un accendino diede fuoco alle cinghie del letto che la contenevano, perdendo la vita nel rogo sprigionatosi. La ragazza, 19enne, teneva nascosto addosso un accendino, usato per appiccare il fuoco, tentando di liberarsi dalle protezioni. Il decesso risulterebbe essere stato causato dall’inalazione di fumi e vapori e dello shock termico, responsabile di un rapido arresto cardiorespiratori, avvenuto nel giro di pochi secondi e quindi non riconducibile al ventilato “flash fire”, che lasciava presagire alla violenza con cui si era sviluppato l’incendio dovuto alla sovraossigenazione della stanza. Ricordiamo che nella vicenda sono imputati due addetti al soccorso antincendio del Papa Giovanni XXIII. Che si fosse trattato di secondi, oppure di minuti, si era parlato anche nell’udienza in cui erano stati chiamati a deporre i medici legali Matteo Marchesi, consulente del Pubblico Ministero Letizia Ruggeri e Arnaldo Migliorini per gli avvocati Francesca Privitera e Stefano Buonocore. Il primo, nella sua deposizione, aveva sostenuto che il cuore della 19enne avesse smesso di battere nell’arco di pochi minuti, per una serie di concause, mentre diversa era stata la conclusione del consulente nominato dalla difesa, per il quale la ragazza era morta in un lasso di tempo estremamente ridotto, vista anche la percentuale di ossido di carbonio riscontrata nel sangue della vittima, che risultava essere pari al 16%. Dunque la conclusione del dottor De Ferrari non si allinea a quella del dottor Marchesi in merito al tempo in cui la ragazza è morta. La difesa ha reso noto di essere ancora in attesa di ricevere il piano antincendio dell’Ospedale, mentre la prossima udienza è stata fissata per l’8 aprile.

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